
Racconto presente nell'antologia 22 BAttiti d'Ali, edito nel 2020 e realizzato a cura del gruppo Facebook Scrittori e Scrittrici Esordienti, i cui proventi della vendita sono destinati alla Protezione Civile Italiana per la lotta al Covid-19.
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Giorno 25 dell’emergenza COVID-19
La stanza ha il pavimento interamente ricoperto da un telo di plastica trasparente, fissato appena sopra il battiscopa con abbondante utilizzo di nastro-carta. Allo stesso modo porta e finestra, sigillate lungo il perimetro con le pareti. L’uomo, dall’evidente calvizie, in equilibrio su una gamba cerca di infilare l’altra in una tuta bianca da polizia scientifica. La posizione da gru mantenuta troppo a lungo lo fa ondeggiare, come una trottola durante gli ultimi giri di carica. Nel tentativo di non cadere stende rapidamente la gamba sollevata squarciando il delicato tessuto poroso.
«Ma nooo!»
«Che succede Marco?» Una voce allarmata proviene dal salotto, dove Sara è sdraiata sul divano con le gambe appoggiate sul bracciolo.
«Ho strappato l’ultima tuta. Non potevamo chiamare un imbianchino per tingere la stanza? Lo sai che sono negato.»
«Sai che non ci avevo mica pensato? Sei un genio!» Senza smettere di sfogliare una rivista con articoli su pappe, pannolini e rimedi vari per il sonno del neonato, lo prende palesemente in giro.
«Ah già . L’emergenza. Ancora non mi sono abituato. Eppure sono solo quindici giorni che siamo tappati in casa come latitanti.»
Senza fare ulteriori danni alla protezione di tessuto non tessuto, tira su la lampo fino al collo e copre la pelata con il cappuccio dotato di elastico. Con fare professionale calza un paio di guanti di lattice, manco fosse Christiaan Barnard in procinto di eseguire un’operazione a cuore aperto. Bardato di tutto punto, raggiunge Sara nell’altra stanza, mentre brandelli bianchi svolazzano nel movimento d’aria.
«Carino però. Ti mancano solo occhiali e mascherina e sei pronto per affrontare la tua missione odierna.»
«Vado Comandante. Il pacco come sta?» Impettito e con una mano tesa all’altezza della fronte, indica la rotondità della moglie con il sorriso degli occhi.
«C’è un po’ di movimento ma sembra tutto a posto.» Con gesto tenero accarezza la pancia tesa dalla gravidanza, giunta ormai all’ottavo mese.
«Bene. Vado, colpisco e torno.»
Afferrato il rullo completo di prolunga, al ritmo della musica proveniente dallo stereo della sala, traccia linee simil verticali sul bianco ingrigito della parete, segnata da residui di colla, ultima traccia di foto fissate con lo scotch.
Complice il suo carattere gioviale e scherzoso, tra una rullata e l’altra perde tempo a disegnare con il pennello usato per le rifiniture; un sole completo di raggi, un albero leggermente amorfo e il suo idolo dei videogiochi da bar: PacMan. Solo che al posto dei puntini disegna il terrore di questi giorni: lui, il temutissimo Covid-19; nella monotonia del rosa chiaro ne crea tanti piccoli dotati della immancabile corona, e poi lui, la creatura gialla e tonda nell’atto di mangiare.
Tra diligente lavoro e perdite di tempo infantili, dopo due ore l’ultima parete è finalmente completata, e la camera ha assunto l’aspetto di una enorme scatola rosa chiaro spezzata dal bianco degli infissi. Con meno cura di quella prestata per infilarla, si libera della tuta bianca chiazzata di rosa, prima di lanciarla dentro uno scatolone con altri oggetti da buttare.
«L’artista del pennello ha completato l’opera.» Con moto di soddisfazione compie un saltello, facendo toccare i due piedi per aria.
«Eccoti. Pensavo fossi caduto dentro il bidone della tinta.» È impossibile per lei non ridere alle sue scemenze. Ha sempre avuto la capacità di oscurare le cose negative con l’ilarità , trascinando anche lei in un continuo gioco.
«No, donna. Ero impegnato a sconfiggere il mostro.» Tronfio del suo contributo all’umanità , con allusione al virus, si accovaccia sul tappeto vicino a Sara, avvicinando il viso al pancione; come solito fare, da quando ha iniziato a prendere forma, bussa con delicatezza.
«Ehi, tu, lì dentro. Come va? Sicura di voler uscire? Non stai bene lì dentro?» Preoccupato per gli ultimi avvenimenti, parla alla nascitura con quella vocina un po’ scema che si usa quando ci si rivolge ai bambini
«Ma sei scemo? Guarda che me la devo portare in giro io.» Ben conoscendo la propensione di Marco allo scherzo, gli rifila uno scappellotto.
«Shh, lasciami interloquire con lei, magari riesco a convincerla a nascere dopo che sarà finito tutto.»
«Dicevo, bella di papà . Qua fuori è un marasma che non puoi capire. Pensa che le persone stanno imparando a rispettare la fila, nessuno protesta per il tempo che deve attendere fuori dai negozi. Ci si saluta tra vicini di casa come fossimo grandi amici.»
«Amore, dammi una mano a sollevarmi, la vescica reclama.» Puntata una mano sulla spalliera del divano, fa perno sul sedere per girarsi.
«Prendi questa mano, zingaraaa. Oh issa. Sei pesantuccia eh.» Con la mano tesa fa il verso a Iva Zanicchi nel suo cavallo di battaglia sanremese. Con un pizzico di ironia ovviamente.
«Vedi tu! Facciamo cambio?» Lentamente e a gambe larghe, si dirige verso il bagno, la mano poggiata all’altezza delle reni per contrastare il peso della pancia. «A proposito, avrei anche fame. Mi porti a mangiare fuori?»
«Certo, apparecchio in terrazza. Ci sono dodici gradi, ma possiamo mangiare in pelliccia, che ne dici?»
«Uffi, mi tarpi le ali; sono stanca, mi sento un pallone aerostatico e non mi porti nemmeno a mangiare fuori. Voglio il divorzio.»
«Non si può. Gli avvocati non possono lavorare, puoi aspettare quando finirà l’emergenza?»
«Ecco, non si può manco divorziare in santa pace.» Con movimenti impediti si appende al collo di Marco per baciarlo, scaricando su di lui tutto il suo peso.
«Amore, non che non apprezzi le tue effusioni, ma vorrei veder nascere il nostro mostriciattolo. Così mi uccidi.»
«Quanto sei delicato! Vai a cucinare, va’.»
«Vado, vado. Tu rilassati, non vorrei che si agiti la pupa e decida di voler nascere in anticipo.»
Marco ha vissuto questa gravidanza con trepida attesa; i mesi trascorsi sembravano non voler avanzare. Anche se la trasformazione in Sara è evidente, l’occhio e la mente si sono abituati al suo lievitare da quando il ginecologo ha dato loro la notizia, hanno preso l’abitudine di immortalare il cambiamento del suo corpo nudo in un time lapse. Scorrere le immagini sul cellulare produce in loro reazioni diverse. Lei si vede grassa, limitata nei movimenti, una balenottera, insomma. Lui invece adora le sue curve, il suo seno gonfio, la pancia perfetta nella sua rotondità ancestrale.
Da quando sono in emergenza, vorrebbe avere il potere di congelare questo momento di incertezza, impedire che un essere indifeso nasca per essere chiuso in una bolla di vetro al riparo da tutto e tutti. Sarà dura, ma è deciso a rendere la nascita un evento unico, senza pensare a niente che possa andare storto. Ha già programmato il momento in cui avrà inizio il travaglio. Sperando che le membrane reggano fino all’ospedale. Tuta extralarge, guanti in lattice, mascherina e cuffietta da doccia. Ancora non ha avuto il coraggio di dirglielo; sa bene che lo manderà a quel paese.
Terminata la cena, Sara riprende posizione sul divano; Marco, accucciato vicino a lei, poggia l’orecchio sulla pancia, lasciata scoperta da una maglietta troppo corta per adattarsi alle nuove misure. In alcuni momenti ha come l’impressione che il cuore del feto sia in perfetta sincronia con quello della mamma, anche se solo per un breve ed emozionante istante.
«Amore bello, ci sei?» Sottovoce, le labbra che sfiorano la pelle vellutata di Sara, chiama la sua principessa. Chissà se è poi vero che i bambini sentono voci e rumori che provengono dall’esterno.Â
«Ahahah e dove vuoi che sia andata? Al bar?»
«No, i bar sono chiusi, c’è scritto nel decreto. Ma sono aperti i tabacchini però. Metti che sia nervosa e voglia fumarsi una sigaretta.»
In certi momenti è disarmata dalla sua capacità di inventarsi certe cose.
«Perché ti dò retta. Perché?»
«Perché mi ami, semplice.»
«Amore di papà , se mi senti allunga un piedino.» Come se avesse sentito e capito le parole di Marco, la pancia è animata da un movimento interno che crea un piccolo rigonfiamento sulla parte superiore.
«Naaaa. Vedi che mi sente? Amore bello, ascoltami bene eh. Tra un mesetto dovresti nascere, ma puoi prenderti tutto il tempo che vuoi. Sei lì al calduccio nella tua Spa senza dover pagare nulla. Ma sai quanti bambini, una volta nati, sono voluti tornare dentro? E mica si può, non è semplice. Tanto qui fuori siamo in una situazione un po’ complicata. Non possiamo uscire di casa e tu sicuramente vorrai andare a fare una passeggiata. Quindi se per caso mammina dovesse decidere che è arrivato il tempo, punta le manine e resisti alla luce in fondo al tunnel. Non farti fregare tesoro mio, avrai tempo per conoscere la bellezza del mondo.»
«Finita la seduta con mia figlia? Posso andare a fare la pipì?»
«Ma davvero vuoi farla nascere adesso? Non hai paura?» Improvvisamente il tono di Marco si fa serio. Abbandona il faceto che lo contraddistingue, nelle sue parole non c’è più ironia.
«A parte che se finisce il tempo c’è poco da fare, e poi, cosa significa: non hai paura? La mia paura è iniziata quando ho intuito di essere rimasta incinta. Paura di non essere una buona madre, di non saperle trasmettere i buoni valori che hanno trasmesso a me, a noi. Paura che possa avere delusioni dalla vita, dagli amici, dalla società . Pensi che non mi spaventi quello che sta succedendo? Sì, mi spaventa, Marco, ma tu mi hai insegnato a vedere il lato positivo delle cose, sempre. E sarà così anche questa volta. Quando passerà saremo più forti, più umani, più vicini. Posso andare a pisciare ora?»
La sua risposta l’ha lasciato letteralmente a bocca aperta. Non l’aveva mai sentita infervorarsi così e allo stesso tempo rimanere calma. Senza replicare a quella che considera una vera e propria dichiarazione d’amore per la vita, si alza dal tappetto per aiutarla nella dura impresa di sollevarsi dal divano. L’unica cosa che gli riesce è rubarle un bacio fugace, prima che, con la velocità di un lamantino, possa raggiungere il bagno seguita da lui come un cagnolino bastonato.
«Teso’ non è che scendi a buttare la mondezza?» Con occhio languido, come se gli avesse fatto chissà quale proposta, gli chiede l’ennesimo favore seduta sul water.
«Certo! Che dici, prendo l’autocertificazione? Non sia mai che trovi un posto di blocco al cassonetto.»
«Ahahah sì, prendi anche il passaporto per sicurezza.»
Senza rispondere, agguanta la busta dell’umido dal secchio e invola le scale del palazzo.
Nel silenzio della strada riflette sugli avvenimenti recenti. Nonostante la sua perenne voglia di scherzare, ha ben presenti le difficoltà che dovranno affrontare nelle prossime settimane, nei prossimi mesi.
Da quando sono in emergenza è lui a occuparsi di tutto, sia in casa che fuori. Si è rassegnato, o per meglio dire adeguato alla situazione. Alla stregua di un rapinatore, con mascherina, guanti e occhiali da sole affronta le uscite per la spesa nel negozio dietro casa, in farmacia, al tabacchino. Tutto sommato, può ritenersi fortunato, vive in una piccola città e fuori dalla zona calda del Paese in cui la pandemia si fa sentire in maniera più violenta. È conscio del fatto che deve stare attento il più possibile, in modo da evitare di essere contagiato e trasmettere il virus a sua moglie. Non adesso. Sa che lei è preoccupata anche se non lo dà a vedere, ma si accorge del sonno agitato quando dorme, dell’apprensione che prova quando sente le notizie ai telegiornali; la osserva mentre passa la mano sulla pancia, come a voler proteggere la sua creatura. Per fortuna, fare lo scemo gli viene naturale, così da sdrammatizzare alcuni di questi momenti negativi.
Raggiunta l’area cassonetti, riconosce nella figura illuminata dal lampione il suo vicino di casa sessantenne. Gestisce una cartoleria e come tutte le altre attività non necessarie, si è trovato a dover abbassare la serranda.
«Wè Giorgio, di corvée anche tu?»
«Ciao Marcolino. In mancanza di cane mi accontento di questo per sgranchire le gambe.»
«Se vuoi ti presto un peluche e porti giù quello.»
«Ahahah, sì è un’idea, ma ho visto che l’hanno già fatto. A inventiva non ci batte nessuno.»
«Poco ma sicuro! Come stai?»
«Tutto sommato bene. A parte i diverticoli e il diabete ovviamente. Ah, e il negozio chiuso da un mese.»
«Non sei contento? Pensa quelli che devono alzarsi tutte le mattine per andare a lavorare.»
«Non mi lamento infatti. Ti dirò, avevo già una mezza idea di vendere tutto e questa epide – pandemia mi ha convinto per l’altra metà . Ma sono felice, sai perché?»
«Spara!»
«Sto regalando quaderni, pennarelli, album da disegno al reparto di pediatria e a chi ne ha bisogno.»
«Chapeau!» Conosce bene Giorgio, la sua generosità , ma questo va ben oltre ogni gesto di solidarietà .
«Perché vedi, Marco, siamo in una brutta situazione. Sia da un punto di vista sanitario che economico, ma questa clausura forzata sta facendo riscoprire quanto ci manchino le persone care, quanto ci sia sempre qualcuno che sta peggio di noi. Mi piace vederla così.»
«E io che sto cercando di convincere mia figlia a non nascere adesso.»
«Ahahah, sei tutto scemo Marco. Vabbè, ci vediamo domani alla stessa ora.»
«Sarò puntuale.»
Risalendo le scale ripensa alla chiacchierata avuta con Giorgio. Pensa a quanto Sara abbia ragione quando dice che questo virus li sta cambiando in meglio. Nella mente gli risuona Meraviglioso, cantata dai Negramaro.
«Amore bello, non vedo l’ora di tenerti in braccio.»
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