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IL PAESE DEI GALLI - 05

2021-03-25 20:02

Sabrina Mills

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IL PAESE DEI GALLI - 05

Poco alla volta, la piazza si popolò di uomini e donne che occuparono l’aiuola circolare che cingeva il grande ulivo posto al centro. Fatte salve le case, era l

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Poco alla volta, la piazza si popolò di uomini e donne che occuparono l’aiuola circolare che cingeva il grande ulivo posto al centro. Fatte salve le case, era l’unico posto dove si potesse godere di un riparo dal sole, caldo già dalle prime ore del mattino.

Quel giorno il brusio si era fatto più forte e confuso rispetto al solito. Alla meraviglia per le auto che avevano iniziato ad attraversare il paese, si aggiunse la curiosità di sapere cosa fosse accaduto durante la notte e quale fosse l’origine del grande botto e delle fiamme alte. Finché un’altra anomalia nell’ordinarietà violata fece cessare per pochi istanti il chiacchiericcio sommesso, prima di riprendere con più vigore. Un fuoristrada rosso con bande bianche lungo le fiancate brontolò sull’acciottolato della piazza fino a fermarsi davanti alla casa comunale. Dal mezzo scesero due vigili del fuoco e, lesti, imbucarono il grande portone aperto per metà, sotto lo sguardo curioso degli anziani.

Nella piazza si fecero le ipotesi più strane: da un’invasione di alieni alla discesa dei barbari, identificati negli abitanti del paese più a monte, con i quali non era mai corso buon sangue. Qualcuno ipotizzò che le esplosioni della notte prima erano dovute allo scoppio di bombe e presto si sarebbero trovati in guerra. Altiero Guaschin, classe 1925, annuì deciso a quest’ultima frase e in silenzio abbandonò il gruppo di ottuagenari diretto alla sua abitazione. Spalle dritte e petto in fuori, nella mente risuonò il passo cadenzato uno-due.

Vedovo da diversi anni, il tenente Guaschin non parlava mai dell’orrore vissuto durante la seconda guerra mondiale, dei tanti compagni caduti sui campi di battaglia e degli spettri che da sempre animavano le sue notti insonni. Come un reliquario, l’armadio della sua soffitta proteggeva dalla sua vista e dai suoi ricordi le sue divise e le diverse medaglie guadagnate.

Fatte le due rampe di scale aprì la porta che dava nel sottotetto; i passi fermi e decisi, segnarono il passaggio nella polvere depositata dal tempo sul pavimento ligneo. Spogliato degli abiti civili indossò la sua uniforme del congedo: le diverse pieghe formate sul tessuto mostrarono tutta la decadenza del suo fisico rinsecchito e la massa muscolare persa. Davanti allo specchio interno dell’anta di castagno appuntò medaglie e croci, e chiuse in vita il cinturone con fondina nella quale infilò la pistola presa dal cassetto interno. Dall’altro comparto dell’armadio prese il moschetto, un Carcano 91 da sei colpi, che appese alla spalla destra.

Calzato il cappello si rimirò impettito nello specchio, gambe unite e braccia distese lungo il corpo. Tutto gli tornò vivo, l’occupazione tedesca, le imboscate, i colpi di mortaio. Aveva un solo pensiero ormai: difendere il suo territorio dal nemico.

Sgomberò la piccola finestra dalle diverse cianfrusaglie accumulate negli anni e si distese pancia a terra a scrutare la piazza lontana, il fucile stretto tra le mani. Il primo colpo echeggiò nell’aria calda e nel pulviscolo mosso dai suoi passi e si infranse nelle rughe centenarie del grande albero, diversi centimetri oltre le teste di chi sostava sotto. Chi si trovava nella piazza non si accorse di nulla e non fece troppo caso allo sparo udito in una giornata infrasettimanale di caccia. Altiero Guaschin agì sul manubrio e caricò un secondo proiettile, prese nuovamente la mira sull’alzo fisso a 200 metri e tirò il grilletto. Il silenzio estivo fu rotto ancora da un’esplosione e il cappello di suo fratello Giovanni volò lontano centrato dal colpo, prima di perdersi nella terra secca dell’aiuola.

In preda ai suoi fantasmi, il tenente Guaschin caricò ancora e ancora, e dei sei colpi, uno solo centrò il suo bersaglio in piena fronte: non aveva mai digerito il fatto che Giovanni, gran leccaculo, fosse riuscito a imboscarsi in un ufficietto di periferia a compilare scartoffie, vantandosene poi nel corso dei successivi anni. Il corpo dell’uomo si afflosciò a terra e nessuno dei presenti capì subito quale ne fosse il motivo. La lunga distanza di tiro aveva fatto sì che il proiettile penetrasse con poca forza e senza fuoriuscita dal lato posteriore del cranio. Quando il sangue iniziò a sgorgare dal foro di entrata con timide pulsioni, il panico si impadronì di chi iniziava a collegare le deflagrazioni con il loro amico senza più vita. Con la velocità concessa da vecchiaia e acciacchi, cercarono di allontanarsi senza una direzione precisa. Gli spari risuonarono e i corpi si riversarono a terra, colpiti dalla mira rinvigorita del tenente Guaschin che nel frattempo aveva inserito una nuova piastrina di cartucce. Era caduto sul nuovo campo di battaglia Luigi Battiston, ex sindaco ed ex operaio di una fabbrica di latterizzi; poi la vedova Cattaneo e il vecchio farmacista Villa, colpito al cuore sulla sua sedia a rotelle. Per ogni colpo andato a segno, il vecchio tenente annuiva soddisfatto e segnava una tacca sul calcio del fucile con l’ausilio della vecchia baionetta arrugginita. Infine, terminate le cartucce si rialzò da terra e rivestiti i suoi abiti civili tornò nel tinello della sua casa, dove riprese il piglio tranquillo dei giorni precedenti come se non fosse mai accaduto nulla.

Continua...

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