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L'ATTESA

2021-03-25 19:54

Sabrina Mills

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L'ATTESA

«Sarò qui al tuo ritorno, amore mio.»«Vedrai, non durerà molto, e potremo finalmente sposarci. A presto, Ada.»***

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«Sarò qui al tuo ritorno, amore mio.»

«Vedrai, non durerà molto, e potremo finalmente sposarci. A presto, Ada.»

 

***

 

Erano quasi due mesi che Mario aveva preso in gestione il bar del porto: aveva sempre sognato di poter gestire un’attività a contatto con il pubblico e appena se ne era palesata l’opportunità, l’aveva colta al volo.

La struttura circolare stava al centro esatto dello scalo cittadino e ne segnava il confine tra le imbarcazioni da diporto e quelle per la pesca professionale. Le ampie vetrate consentivano, a chi si fermava per una colazione o un aperitivo, di godersi la vista a 180 gradi sul via vai di scafi che carezzavano le acque chete, protette dai bianchi antemurali.

Dal suo bancone preparava le comande raccolte da Sara, la cameriera che aveva ereditato dalla precedente gestione e che aveva avuto modo di osservare nel periodo in cui stava valutando di fare il suo investimento. Era affabile, cortese con tutti e sempre con il sorriso sulle labbra pronunciate; perciò, non aveva avuto dubbi nel confermare la sua permanenza. Il bar apriva alle sei del mattino e chiudeva alle dieci di sera. Iniziava da solo e da solo finiva, non potendo ancora permettersi un altro dipendente. Ma questo non era un problema per lui, abituato da sempre a lavorare duro.

Oltre la zona in cui erano ormeggiati i pescherecci si trovava lo scalo passeggeri al quale attraccavano gli imponenti traghetti che collegavano l’isola al continente e le maestose signore del mare, gli hotel galleggianti per le crociere. Ogni arrivo o partenza significava per lui nuovi guadagni e nuovo impegno lavorativo che faceva scorrere il tempo delle giornate in un batter d’occhi. Dal suo punto di osservazione si accorse di un fatto insolito, prima attribuito a uno scherzo della sua mente, poi diventato una presenza costante, quasi familiare. In concomitanza con i due arrivi della giornata, imparò a riconoscere, tra le diverse centinaia di persone, una figura esile e solitaria: una signora anziana, stretta nel suo capotto nero in inverno, e in vestiti scuri con motivi floreali d’estate. Come se dovesse rispettare un appuntamento, arrivava puntuale mentre il traghetto lanciava le gomene e ne seguiva paziente le operazioni d’ormeggio. Si sedeva su una delle panchine che contornavano l’area dello scalo e attendeva.

Mario immaginò che vivesse sola e che quello fosse il suo unico passatempo dei suoi giorni tutti uguali. Le faceva tenerezza quella donna esile che gli ricordava sua nonna, scomparsa da qualche anno. Nella sua mente se la disegnò vedova per via delle tinte scure di ciò che indossava: il nero, colore del lutto da portare come segno di castigo per essere ancora in vita.

Passò l’inverno e la successiva estate. Passarono mille e più volti per quelle acque e per quel bar; passarono indifferenti ai suoi occhi e alla sua mente, ma la signora anziana era la sua compagnia fissa. Arrivava e si sedeva sulla solita panchina, poi, una volta tornata alla tranquillità la zona dello sbarco, mesta, si avviava verso l’uscita del porto. Anche se non la vedeva, impegnato a servire i clienti, la sapeva lì, composta sulla panchina, le gambe strette e la borsetta tenuta tra le mani e appoggiata sulle ginocchia.

Quella mattina si alzò con un senso di disagio impiegabile. Un peso invisibile all’altezza del cuore lo accompagnò per tutta la giornata come una presenza inquieta. Le giornate invernali, più corte e buie erano contraddistinte da un minor afflusso di persone, i traghetti erano meno affollati rispetto a quelli estivi e il lavoro più tranquillo. Quando vide il traghetto delle dieci avvicinarsi alla banchina, scortato come persona importante dai fidati ormeggiatori, il suo sguardo corse a cercare la panchina e la sua occupante. Con stupore misto a tristezza la vide libera. E così l’indomani mattina e la sera, e i giorni successivi. Pensò che la donna non stesse bene, che l’inverno rigido che stringeva la città in una morsa di gelo le avesse suggerito di restare protetta in casa, ma era solo il suo modo di confortarsi per quella assenza insolita.

Passò l’inverno e le temperature fredde, ma l’anziana signora non fece più ritorno alla sua panchina. Mario si era ormai rassegnato a non vederla più, si disse che probabilmente era morta, ma la curiosità di sapere chi fosse e perché rispettasse con zelo quei due appuntamenti al porto, lo spinse a volerne sapere di più. Rintracciò il vecchio proprietario del suo bar, ceduto in età da pensione, e gli chiese se anche lui si fosse accorto della donna. Terminato il racconto, l’uomo finì il suo bianchino e salutò Mario prima di lasciare il locale.

Da quel giorno, Mario sedette sulla panchina mattina e sera per ricordare l’anziana signora che attendeva il ritorno del suo promesso sposo, partito per la guerra e mai più ritornato.

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